Rifiuti elettronici e esame di riparazione

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Raccolta rifiuti elettrici

È un cassetto che ormai tutti noi abbiamo in casa. Molto spesso dimenticato in un angolo del ripostiglio o della soffitta. Quello scomparto mobile è il ritratto poco glorioso della modernità: più che di un cassetto si tratta, infatti, del portarifiuti del consumismo. Una specie di tecno-necropoli di quelli che il filosofo Michel Serres chiamerebbe objets monde, ovvero tutti gli oggetti che hanno invaso il mondo. Sono i cosiddetti Raee, i rifiuti elettronici: cellulari, caricatori inutilizzabili, cuffie, cavi di alimentazione, sigarette elettroniche, giocattoli, Led, auricolari e chi più ne ha più ne metta. Un inquinamento delicato, inodore, che pesa però circa sessanta miliardi di chili, secondo quanto calcolato dal Global E-waste Monitor, ossia l’osservatorio dei rifiuti elettronici mondiali. Per rendersi meglio conto di che cosa stiamo parlando, il Global E-waste Monitor usa questa metafora: gli 844 milioni di sigarette elettroniche che vengono buttate ogni anno equivalgono a tre volte il peso del famoso ponte di Brooklyn di New York. Nella speciale classifica dei paesi produttori di rifiuti elettronici, l’Italia si piazza al settimo posto con 86 milioni di chili, preceduta da Australia (98 milioni), Nigeria (121), Canada (133), Regno Unito (164), Francia (169) e India (1,2 miliardi di chili). Allora perché non svuotiamo quel cassetto? O peggio, perché si continua a inzepparlo?

Percorso complicato. Secondo i ricercatori del Ratio Institute in Svezia, il riciclaggio e la riparazione dei Raee si trovano di fronte seri ostacoli. Il primo riguarda la diffidenza diffusa sulla maniera e quindi l’efficienza del processo di riciclo. C’è chi, per esempio, come l’economista olandese Julian Kirchherr spiega che la percezione di minore qualità dei materiali riciclati, abbinata a un costo piuttosto elevato, fanno sì che la gente preferisca comprare il nuovo. Riguardo al ripristino della tecnologia difettosa, molte persone ci rinunciano visto che oggi il percorso è ancora complicato. A cominciare dalla ricerca di un esperto competente in materia: in un mercato dominato dalla vendita di prodotti nuovi, i servizi di riparazione specializzati sono molto difficili, se non impossibili, da localizzare. La disponibilità di pezzi di ricambio è poi un altro punto di frizione: gli industriali, infatti, non sempre forniscono pezzi di ricambio al di là di un certo periodo. E quando i pezzi sono disponibili, il loro costo – aggiunto a quello della manodopera – rende spesso la riparazione poco conveniente. La Commissione europea ha recentemente approvato la direttiva Right to repair (diritto alla riparazione), che fissa nuove regole per la promozione della riparazione dei beni, e la durabilità e l’accessibilità della riparazione. In questo modo l’Europa intende ridurre la quantità di rifiuti elettronici e lottare contro l’obsolescenza programmata. A condizione che l’applicazione del testo sia fedele alla sua ambizione iniziale.

Quantità smisurate

Il Global E-waste Monitor ha calcolato che ogni anno il peso mondiale delle attrezzature elettriche ed elettroniche aumenta di 2,5 milioni di tonnellate. Nel 2020 l’industria ne ha prodotte ben 53,6 milioni di tonnellate e si calcola che entro il 2030 questa massa planetaria dovrebbe raggiungere i 74,7 milioni di tonnellate. Si tratta, quindi, di un’enorme quantità di rifiuti la cui crescita, alimentata da un consumismo sfrenato, è la più rapida al mondo. E questi oggetti, che hanno un ciclo di vita molto corto abbinato a delle pressoché impossibili opportunità di riparazione, andranno tutti velocemente a finire nella spazzatura.

Articolo pubblicato sul numero di giugno 2024 del nostro mensile. Per abbonamenti clicca qui