Reggio Emilia. A casa Cervi, tra Campo della legalità e pastasciutta antifascista

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Nell’Italia del 2024 che continua ogni giorno a rigurgitare vecchi e nuovi avanzi di fascismo – compreso in parlamento e tra le più alte cariche dello Stato – e a registrare la presenza dell’infezione mafiosa ovunque – dall’economia imprenditoriale alla politica, dai Comuni sino ai fondi del Pnrr –, l’unico antidoto è applicare davvero i princìpi sanciti nella Costituzione.

Da circa venti anni è questa la richiesta che viene dalle migliaia di persone di ogni età che ogni estate partecipano ai campi della legalità promossi da Libera e sostenuti da una miriade di associazioni. La stessa che dal 22 al 27 luglio, tra Campegine e Gattatico, in provincia di Reggio Emilia, arriva da una ventina di studenti tra i sedici e i venti anni, e da un gruppo di volontari anziani che partecipano al campo della legalità, il quarto che dal 2019 si tiene nella casa in cui nel 1934 si stabilì la famiglia Cervi. Alcide e Genoveffa, si legge sul sito dell’istituto Cervi , con i loro sette figli maschi «compirono scelte che si riveleranno fondamentali sia in ambito produttivo nel loro lavoro di contadini sia nel consolidamento di un deciso orientamento antifascista». Tutti i figli, però, pagarono questa scelta con la vita. Era il 28 dicembre 1943 e insieme al partigiano Quarto Camurri, Agostino, Aldo, Antenore, Ettore, Ferdinando, Gelindo e Ovidio vennero fucilati dai repubblichini nel poligono di tiro di Reggio Emilia.

Cinque mesi prima, era il 25 luglio 1943, al ritorno dal lavoro nelle campagne, appreso della destituzione di Mussolini e della caduta del governo fascista dopo 21 anni di regime, i Cervi avevano deciso di festeggiare la notizia distribuendo pastasciutta gratuita alla popolazione. «Ma è sempre Aldo – il ricordo di quel giorno è del padre Alcide – che ci dice di far esplodere la contentezza, intanto si vedrà. E propone: papà, offriamo una pastasciutta a tutto il paese. Bene dico io, almeno la mangia. E subito all’organizzazione. Prendiamo il formaggio dalla latteria, in conto del burro che Alcide Cervi si impegna a consegnare gratuitamente per un certo tempo quanto basta. La farina l’avevamo in casa, altri contadini l’hanno pure data, e sembrava che dicesse mangiami, ora che il fascismo e la tristizia erano andati a ramengo. Facciamo vari quintali di pastasciutta, insieme alle altre famiglie. Le donne si mobilitano nelle case, intorno alle caldaie, c’è un grande assaggiare la cottura, e il bollore suonava come una sinfonia. Ho sentito tanti discorsi sulla fine del fascismo, ma la più bella parlata è stata quella della pastasciutta in bollore».

Da lì è nata una tradizione popolare celebrata oggi in tanti comuni italiani. Ieri, 25 luglio, nella casa che oggi ospita il museo Cervi, oltre quattrocento persone hanno celebrato la ricorrenza. L’evento è stato anche l’occasione per consegnare a Casa Cervi la raccolta fondi promossa dalla Cgil nazionale dopo il furto dell’incasso della Festa del 25 Aprile scorso.

Sin dalle prime ore del mattino tutti i volontari del campo hanno cominciato a preparare l’enorme tavolata per l’appuntamento serale. In una settimana arroventata dal sole, era il quarto giorno di intense attività nel campo della legalità gestito da Libera e dall’istituto Cervi con il sostegno dello Spi Cgil di Reggio Emilia, di Parma, e dell’Auser.

«Questo non è un bene confiscato ai mafiosi come generalmente sono i campi di Libera – mi dice Amabile Carretti, responsabile dei campi della legalità per la segreteria provinciale dello Spi Cgil Reggio Emilia – è un museo e anche una sorta di scuola di formazione all’antifascismo. Ma la provincia di Reggio è anche il luogo in cui si è tenuto uno dei più grandi processi ai boss della mafia calabrese (conosciuto come il processo Aemilia n.d.r.), che da anni è infiltrata nei gangli economici e politici della regione. Cgil, Cisl e Uil, per l’occasione si sono costituite parte civile e hanno visto riconosciute le proprie ragioni. La mafia ­– continua Amabile Carretti – segue i soldi dove l’economia funziona, dove possono lucrare. Sparano di meno ma riciclano più soldi attraverso piccoli e grandi proprietari di aziende reggiane colluse. Siamo presenti nel campo di Gattatico, ma alcuni nostri volontari sono già o stanno per partire alla volta di altri campi, dalla provincia di Belluno ad alcune città del Sud Italia».

I beni confiscati a Reggio sono oltre 400.  Si tratta di terreni, appartamenti, fabbriche, capannoni, auto eccetera. «Hanno già cominciato ad assegnarli. Da sempre sosteniamo che tutto ciò che viene confiscato alla mafia deve essere restituito ai cittadini per un utilizzo sociale. E non per fare soldi», precisa Carretti.

Sul tema, nel corso della settimana i ragazzi hanno ascoltato il racconto di un giudice del processo Aemilia, hanno visitato alcuni beni confiscati. Poi è stata la volta delle Officine reggiane e del poligono in cui vennero fucilati di sette fratelli Cervi.

Valentina Anelli, segretaria generale dello Spi Cgil di Parma, città che quanto a infiltrazioni mafiose mostra problemi del tutto simili a Reggio Emilia, ha raccolto l’esperienza delle ragazze e dei ragazzi tra vecchie nuove resistenze contro la mafia e vecchie nuove resistenze contro il fascismo. «Ciò che noi adulti vogliamo trasmettere loro è la memoria che serve per comprendere la realtà che gli gira intorno, magari attraverso giochi di gruppo che conoscono. Non diamo lezioni, testimoniamo con passione storie di illegalità, di diritti negati, di sopraffazione e delle lotte intraprese per liberarsi da tanti soprusi.

Chiara ha diciassette anni e viene da Roma: «Fa un po’ caldo – dice con un eufemismo – ma trovo che sia molto bello essere qui, un appuntamento che celebra il senso di comunità e di unità di intenti».

Matteo, invece, di anni ne ha compiuti diciotto e arriva da Bolzano: «Sono felice di prendere parte a questa iniziativa per sensibilizzare le persone sul valore della lotta alla mafia e per ricordare il sacrificio dei fratelli Cervi. È una bella occasione per rafforzare il senso di comunità, che è il vero antidoto all’indifferenza».

«Non è la prima volta che partecipo al campo che si tiene a casa Cervi. Ormai sono un veterano – racconta Maurizio Bigna, dello Spi Cgil di Parma – ma ogni volta sento che il confronto che si apre tra noi anziani e i giovani risulta sempre molto interessante. Ci scambiamo le nostre esperienze e insieme ne viviamo di nuove. Una cosa bellissima, piena di emozioni, che ci rende felici di vivere sei giorni a così alta intensità».