La rinascita di Cascina Caccia: da villa mafiosa a laboratorio di democrazia

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Era la villa di Domenico Belfiore, signore incontrastato della Ndrangheta negli anni Settanta e Ottanta nell’area del canavese, in provincia di Torino. Oggi il casale porta il nome del magistrato che il boss fece uccidere nel 1983. In questi giorni, decine di giovani e volontari lavorano alla manutenzione della struttura

La rivincita sulla Ndrangheta arriva perfino dal nome: Cascina Caccia. La cascina che fu di Domenico Belfiore, a San Sebastiano del Po, in provincia di Torino, è stata intitolata al magistrato Bruno Caccia, caduto in un agguato ordinato proprio dal boss mafioso.

Era il 1983. Caccia aveva dato fastidio agli affari del clan e per questo il boss ne aveva ordinato la morte. Sostituto procuratore a Torino, il magistrato era noto soprattutto per il prezioso contributo che aveva dato alla lotta contro il terrorismo. Era stato lui a raccogliere le confessioni del primo brigatista pentito, Patrizio Peci e a firmare la richiesta di rinvio a giudizio per il nucleo storico delle Brigate Rosse.

La storia di Cascina Caccia, situata a è la storia di una vittoria. Di tante vittorie. Innanzitutto quella della società civile contro la criminalità organizzata, della legalità contro il malaffare, del bene comune contro l’arroganza di pochi. “Un racconto corale che dal 2007, anno in cui la struttura viene finalmente liberata dalla famiglia mafiosa – dicono alla Cascina – non ha mai smesso di crescere grazie a nuove voci, nuove occasioni, nuove energie e un grande sogno: disarmare le mafie privandole della risorsa per loro più preziosa, il silenzio. Un sogno che si realizza ogni giorno”.

Andrea Turturro, coordinatore della segreteria regionale di Libera spiega: “Cascina Caccia oggi è una comunità di vita, residenziale, in cui vivono cinque ragazzi tra i 25 i 30 anni che hanno scelto uno stile di vita comunitario. Ma anche un Cas, un centro di accoglienza straordinaria per migranti gestito da una cooperativa che si occupa anche di lavorare i prodotto dell’orto attraverso il laboratorio di gastronomia”.

Accanto al laboratorio di gastronomia, Libero è un progetto che sostiene le attività sociali, educative e di accoglienza attraverso la produzione di miele, nocciole, torrone, cioccolato, barrette energetiche, risotti, caramelle, prodotti di cosmesi; tutti prodotti realizzati in collaborazione con professionisti insieme alla manodopera e le materie prime dei nostri beni confiscati del Piemonte.

In questi giorni la Cascina accoglie decine di minori provenienti da tutta Italia (uno viene da New York) e volontarie dello Spi Cgil da Emilia Romagna e volontari da Torino per un campo antimafia.

I ragazzi partecipano a lavori di manutenzione della cascina, di ritinteggiatura, di rigenerazione mentre le volontarie dello Spi Emilia Romagna danno una mano in cucina. Qui la testimonianza di Ivana Sandoni, dello Spi Cgil di Bologna: “È una realtà meravigliosa, accoglienza calda in tutti i sensi. Prima volta al Nord, ho fatto altri campi al Sud. L’ Emilia romagna è stata duramente colpita dalla Ndrangheta. Volevo vedere cosa accadeva in altre regioni del Nord”.

Durante le ore di formazione, Claudia Carlino, della segretaria nazionale Spi Cgil, ha affermato: “La cascina è un esempio di cosa si può fare con il recupero dei beni confiscati e quanto sia importante che questi beni siano recuperati dalle comunità: da qui parte il riscatto, non solo nella lotta alla mafia, ma anche per l’affermazione dei diritti, a partire da quelli del lavoro”.

Assunta De Caro, segretaria organizzativa dello spi Piemonte ha introdotto ai ragazzi il tema del dialogo tra generazioni e del perché lo Spi investe nei campi della legalità.

Pietro Passarino, della segreteria Cgil di Torino, ha ricordato i cambiamenti nel mondo del lavoro, del lavoro in fabbrica e della conquista dei diritti.

Alessio Festi, responsabile legalità della Cgil nazionale, ha ricordato l’importanza dei pentiti nella lotta alla mafia e alcuni passaggi chiave che hanno permesso di dare un colpo decisivo alla criminalità organizzata come la possibilità di aggredire i patrimoni dei mafiosi e l’istituzione del reato di associazione mafiosa.

Gli studenti che sono intervenuti nella discussione, oggi, hanno parlato di come attivare forme di mobilitazione politica tra i giovani e come avviare una stagione di partecipazione sulla base di temi come l’ambiente e la lotta per i diritti individuali e collettivi.