La conquista del K2. La montagna degli italiani

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I componenti della spedizione sul ghiacciaio Baltoro

Tredici alpinisti, tre scienziati, due medici, un operatore cinematografico. Era così composta la spedizione, guidata dal geologo Ardito Desio, che portò il 31 luglio 1954 alla conquista del K2, la seconda montagna del pianeta, nella catena del Karakorum, in Pakistan. Anche l’Italia si ritagliava un posto da protagonista nella corsa agli ottomila, ma l’impresa fu macchiata dalle ingiuste accuse mosse da Compagnoni e Lacedelli nei confronti del compagno di scalata Walter Bonatti

Non un nome ma una sigla, frutto per di più di un errore di misurazione. Lo compie nel 1856 una spedizione inglese, battezzando K2 la montagna ritenuta seconda per altezza nella catena del Karakorum. Poi si scopre che si tratta in realtà della prima perché sopravanza di ben 541 metri il K1-Masherbrum. Per rimediare viene deciso di riferire quel “2” alla classifica delle cime più alte del mondo, dove con i suoi 8.611 metri il K2 si colloca a ridosso dell’Everest. Ma non lo batte nessuno quanto a popolarità nel nostro paese, dopo che la sua vetta è stata conquistata da una spedizione italiana. Ne parlano tutti nell’estate del 1954 e in poco tempo K2 si trasforma in un marchio di eccezionale richiamo. Non si contano i locali, bar e gelaterie soprattutto, che rinverdiscono le insegne inserendo quella lettera e quel numero. Ristoranti e pizzerie arricchiscono il menù con specialità al K2. Sono ancora tempi in cui le imprese alpinistiche hanno grande risalto sui giornali, appassionano l’opinione pubblica e inorgogliscono un paese voglioso di riscatto come l’Italia.

La spedizione che conquistò il K2

Il Club alpino italiano non incontra perciò eccessive difficoltà nel mettere in piedi la spedizione insieme con il Consiglio nazionale delle ricerche, l’Istituto geografico militare e il sostegno dello Stato. Ne fanno parte tredici alpinisti, tre scienziati, due medici e un operatore cinematografico. Comandante in capo è il geologo Ardito Desio, che nel 1929 ha partecipato all’esplorazione del Karakorum guidata dal duca di Spoleto. Ha il nome giusto, non certo il physique du rôle: è infatti un tipo mingherlino, ma con una volontà di ferro e un piglio militaresco. Nessuno deve fargli ombra ed è forse questo il motivo dell’assenza, nel gruppo che il 20 aprile 1954 parte da Roma alla volta di Nuova Delhi, di due esperti alpinisti come Riccardo Cassin e Cesare Maestri.

Campo base. Il bel tempo agevola le operazioni preliminari che si svolgono all’inizio di giugno e le prime fasi dell’ascesa, funestate purtroppo dalla morte per edema polmonare dell’alpinista Mario Puchoz. Desio installa il campo base a 4.970 metri e da lì fa recapitare i suoi “ordini di servizio”, battuti a macchina, a chi sta sempre più in alto. La scalata diventa impegnativa a partire dal 25 luglio, quando viene allestito il campo 7 a quota 7.345. Walter Bonatti, che ha ventiquattro anni ed è il più giovane della spedizione, deve fermarsi per problemi digestivi. Proseguono fino a 7.750 metri, dove montano il campo 8, Erich Abram, Pino Gallotti, Ubaldo Rey, Achille Compagnoni e Lino Lacedelli. Gli ultimi due sono i prescelti per raggiungere la vetta e il 29 luglio cercano di portarsi a quota 8.100 ma il tentativo fallisce. Debbono disfarsi del loro carico e rientrare al campo 8, dove vengono raggiunti dal ristabilito Bonatti e da Gallotti con scorte di viveri e altro materiale. Desistono invece Abram e Rey, abbandonando due basti con le bombole di ossigeno al campo 7. Andranno a recuperarli Bonatti e Gallotti, mentre Compagnoni e Lacedelli continuano l’ascesa.

Abbandonati a 8.100 metri

Il 30 luglio al campo 7 arriva Abram con i portatori d’alta quota Mahdi e Isakhan. Alle 15,30 Bonatti, Abram e Mahdi riprendono a salire dandosi il cambio nel trasporto delle bombole, ma quando arrivano dove dovrebbe essere il campo 9 non lo trovano. A furia di urla riescono a farsi sentire da Compagnoni e Lacedelli, che raccomandano di seguire le loro tracce. Mentre Abram non ce la fa più e torna indietro, Bonatti e Mahdi riescono a raggiungere il campo 9 a quasi 8.100 metri prima che faccia buio. Ancora a urla riescono a comunicare con Lacedelli che li invita a lasciare le bombole e ridiscendere. Ma non c’è tempo. I due trascorrono la notte tra il 30 e il 31 luglio in un bivacco, senza tenda e senza sacchi a pelo, a 50 gradi sottozero. Mahdi ha mani e piedi congelati, è in stato confusionale e rischia più volte di precipitare. Alle 6,30 Compagnoni e Lacedelli scendono a recuperare le bombole e affrontano quindi gli ultimi metri della scalata. Dopo circa dodici ore, alle 18 del 31 luglio 1954, raggiungono la vetta del K2 dove piantano la piccozza con le bandiere dell’Italia e del Pakistan.

Accuse infamanti. Nel clima di esaltazione per il successo dell’impresa non si dà peso alle discordanti ricostruzioni dei protagonisti. Compagnoni sostiene che nell’ultimo tratto, con l’ossigeno esaurito, ha trascinato e salvato Lacedelli sull’orlo di un precipizio. Desio lo smentisce, ma non immagina quel che sta per succedere. A far deflagrare la bomba è Bonatti, che contesta radicalmente la versione ufficiale. Sostiene che Compagnoni e Lacedelli sono arrivati in vetta grazie a lui: ha portato su le bombole e loro lo hanno mollato per conquistare il K2 da soli. I due ribaltano le accuse: è Bonatti che ha tentato di precederli usando per sé le bombole. Un’ipotesi senza fondamento perché Bonatti non ha neanche la maschera per l’ossigeno, ma l’alpinista bergamasco si ritrova solo contro tutti a dover rispondere di accuse infamanti. Da allora il ristabilimento della verità diventa la sua ragione di vita. Dura cinquant’anni la sua battaglia condotta senza risparmio nei tribunali, sulla stampa, con il libro Le mie montagne del 1961.

La vittoria di Bonatti. Nel 1994 due foto inedite dimostrano che Compagnoni e Lacedelli sono arrivati in vetta con le bombole. Il Club alpino italiano accusa il colpo, ammette l’incongruenza e vorrebbe che Bonatti si accontentasse di questa ammissione. Ma lui non ci sta, esige la piena riabilitazione che arriva soltanto nel 2008, quando una commissione di saggi, insediata dallo stesso Cai, afferma che le cose sono andate come ha sempre sostenuto Bonatti, al quale viene finalmente riconosciuto di aver svolto un ruolo chiave nella conquista del K2.