Calendasco (Pc), il campo della legalità nel capannone confiscato e intitolato a Rita Atria

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«Aperto ai ragazzi dai 14 ai 99 anni!». Così il Comune di Calendasco, in provincia di Piacenza, annunciava il 3 settembre scorso, ed è il quinto anno consecutivo, l’apertura del campo della legalità promosso dallo stesso Ente locale e dall’associazione Libera Piacenza presso il capannone “Rita Atria”, confiscato alle mafie di Ponte Trebbia di Calendasco. Invito raccolto da tanti volontari giovani e anziani che dal 9 al 13 settembre hanno preso parte a una serie di laboratori e incontri con testimoni, giornalisti, rappresentanti delle istituzioni e persone in prima linea nella lotta alla mafia.

Questo tipo di iniziative non rappresenta un’eccezione in Emilia Romagna, dove mafiosi, e in particolare ‘ndranghetisti, da alcuni decenni hanno inoculato il loro veleno nell’economia, nella politica e nella vita sociale del territorio. Riciclaggio, droga, minacce, violenza, corruzione, estorsione, in pochi li hanno visti arrivare. Poi il processo Aemilia, il più importante alla ‘ndrangheta celebrato fuori dai confini della Calabria, ha fatto scattare la reazione della parte più sana della società e soprattutto delle istituzioni, comprese quelle regionali e locali, impegnate ormai da anni a finanziare progetti per il riuso sociale di beni confiscati alla criminalità e a favorire, nelle scuole e nelle città, una maggiore conoscenza del fenomeno e iniziative in grado di coinvolgere tanti cittadini.

Il capannone confiscato a Calendasco, intitolato oggi a Rita Atria, è uno dei tanti esempi in questa regione di vittoria sulla cultura mafiosa. Un simbolo di coraggio e impegno civile, come quello mostrato da Rita Atria. Figlia del boss mafioso Vito Atria, ucciso il 18 novembre 1985 a Partanna per un regolamento di conti, Rita decise di collaborare con la giustizia. Isolata nel paese e disconosciuta dalla sua stessa famiglia – è un disonore mantenere legami con chi ha rotto il muro dell’omertà – nel novembre 1991 Rita incontrò il magistrato Paolo Borsellino (all’epoca Procuratore a Marsala), con il quale strinse un legame profondo.
Le sue rivelazioni e quelle di sua cognata consentirono l’arresto di svariati appartenenti alle cosche di Partanna, Sciacca e Marsala. Costretta a trasferirsi a Roma, in località segreta e sotto falso nome, visse una vita completamente isolata dal resto del mondo. La morte di Borsellino nella strage di Via D’Amelio del 19 luglio 1992 segnò definitivamente la sua esistenza. Il 26 luglio 1992 si lanciò dal settimo piano di un palazzo, a Roma. Sul suo diario lasciò scritto: «Prima di combattere la mafia devi farti un autoesame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarsi».

Oggi l’edificio che porta il suo nome, ristrutturato dalla Scuola edile grazie anche alla manodopera svolta da un gruppo di profughi formati precedentemente dalla stessa istituzione, è usato come uno spazio che funziona tutto l’anno come polo culturale. Ospita anche la redazione del giornale Mafia-Offline, pubblicato dalla consulta degli studenti, che ha raccontati ai cittadini tutti i passi che hanno portato alla ristrutturazione del capannone, e un centro diurno per ragazzi con disabilità.

«Negli anni precedenti all’inaugurazione – racconta Antonella Liotti, referente di Libera Piacenza – abbiamo affiancato il Comune perché l’ex proprietario, che aveva subito una confisca con l’accusa di associazione mafiosa, cercava in tutti i modi di evitare che il bene confiscato, dentro il quale era attiva la sua azienda di gru, finisse in gestione al Comune. Collaborando anche insieme alla Cgil e allo Spi, abbiamo creato la rete con associazioni, con le scuole e con la città. Il giorno dell’inaugurazione c’erano mille persone e tutti i sindaci della provincia. Poi sono iniziate tante attività».

Nelle giornate promosse nel campo della legalità di Calendasco l’attenzione, testimoniata anche dalla presenza del sindaco di Calendasco, Filippo Zangrandi, è stata rivolta principalmente ai beni confiscati alla mafia e la loro rigenerazione. Insieme all’ente scuola edile di Piacenza i promotori hanno quindi dato vita a laboratori in cui immaginare come trasformare beni confiscati presenti sul territorio di Piacenza e provincia, e si è parlato di memoria, gestione dei flussi migratori e dei fatti di attualità accaduti sul territorio.

Tra coloro che hanno portato testimonianza delle vite di tanti che hanno pagato con la vita la loro lotta alla mafia, anche Carla Pagani, del Dipartimento legalità Spi Cgil nazionale. Le loro storie sono contenute nel volume dal titolo Terre e libertà, edito dalla casa editrice LiberEtà e prodotto dallo Spi Cgil. Si tratta di vicende che riguardano tanti attivisti sindacali che dalla fine del 1800 a oggi hanno perso la vita per aver difeso i diritti di braccianti e lavoratori calpestati dai boss mafiosi con la complicità di politici e imprenditori. «Nel nostro paese il ruolo del sindacato – ha detto – è riportare le storie individuali in una dimensione collettiva, come accade per le testimonianze portate qui da familiari di vittime di mafia come Marialuisa Rovetta. Come la lettura solenne dei nomi di tutte le vittime di mafia che viene fatta il 21 marzo di ogni anno. Non un rito o una celebrazione vuota ma una consegna a tutta la collettività di un patrimonio di memoria e di esempio di assunzione di responsabilità civile. Il sindacato – ha aggiunto Pagani – ha l’ambizione di contribuire a unire, ognuno nella sua specificità. tutti coloro che perseguono l’obiettivo di porre fine al fenomeno mafioso. Per quanto ci riguarda, e il libro lo conferma, continuiamo a lottare per il rispetto dei diritti dei lavoratori. Lo Spi difende invece i diritti delle persone in pensione, i cui interessi, su tutti la tutela della salute, vanno difesi per tante ragioni. In questo rientra ad esempio la difesa di un sistema sanitario pubblico ma anche la difesa delle pensioni. La nostra decisione di pubblicare un libro sulle storie di sindacalisti vittime di mafia – ha concluso Carla Pagani – nasce perché vogliamo lavorare con i giovani per contribuire insieme alla scrittura di una memoria condivisa che appartiene a tutti, senza limiti di età. Lo facciamo cercando di dialogare con i più giovani, non di insegnare, e cercando di comprendere con loro i modi più efficaci di comunicare la storia del sindacato. Come facciamo attraverso il canale lanciato su Instagram e che si chiama @Boom_ita, nel quale raccontiamo, usando un linguaggio non canonico e non noioso, la storia delle grandi battaglie per i diritti portate avanti in questo paese».

«Come Spi – ricorda infine il segretario organizzativo dello Spi Romano Braghieri – abbiamo appoggiato tutte le iniziative promosse in questo luogo. Da qui vorremmo partire per guardare al futuro e con Libera vorremmo creare altri spazi per far conoscere ai più giovani cosa fanno Libera e il sindacato. Per noi, infine, che rappresentiamo i pensionati iscritti allo Spi è molto importante costruire un rapporto con le giovani generazioni».