Basaglia: quando la città di Ferrara disse addio al manicomio

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Con Gorizia e Trieste fu una provincia all’avanguardia nel superamento dell’istituzione manicomiale, fulcro della battaglia politica e culturale degli anni Settanta. La mostra “Ti interni, io libero” nella città estense e altri eventi celebrano una riforma oggi ancora non interamente compiuta

Nel 1971, l’ospedale psichiatrico provinciale di Ferrara ospitava 750 ricoverati; nel 1978 erano 400 e poi diminuirono ancora, fino a ridursi a un piccolo nucleo. Con Gorizia e Trieste, Ferrara fu una provincia all’avanguardia nel superamento dell’istituzione manicomiale, fulcro della battaglia politica, culturale e professionale di Franco Basaglia. Il direttore dell’ospedale psichiatrico ferrarese era Antonio Slavich, collaboratore di Basaglia dai tempi di Gorizia; e l’assessore alla sanità e ai servizi sociali della Provincia che con Slavich si impegnò per la chiusura del manicomio fu una donna coraggiosa e determinata, Carmen Capatti.

Con questi trascorsi, Ferrara non poteva non ricordare Basaglia nel centenario della nascita: e lo ha fatto con due incontri il 4 e il 13 giugno scorsi lo Spi-Cgil, insieme alla Cgil, all’Azienda sanitaria locale, all’Anpi, all’Udi, all’Istituto Gramsci, all’associazione di familiari dei pazienti “La Formica” e all’Unione degli studenti universitari dell’ateneo estense.Allo smantellamento del manicomio ferrarese si arrivò per tappe successive, ricorda Marco Turchi, che negli anni ’70 dirigeva i servizi psichiatrici dell’azienda sanitaria locale. Un processo lungo per liberare “i matti”, sfidando pregiudizi e resistenze della popolazione e non di rado degli stessi operatori interni. Slavich giunse da Parma, dove lavorava a fianco di Mario Tommasini, assessore provinciale protagonista del movimento per la chiusura degli ospedali psichiatrici.

Antonio Slavich (a sinistra) con Franco Basaglia (a destra)

Cura e riabilitazione

“Gli incontri ferraresi – spiega Sandro Arnofi, segretario provinciale dello Spi-Cgil – hanno voluto tener vivo il ricordo e i contenuti della rivoluzione basagliana. Sono stati arricchiti dalla mostra- “Tu interni, io libero” – di Gian Butturini, fotografo militante che illustrò ciò che avvenne a Trieste con immagini forti della riconquistata dignità e identità di donne e uomini che vivevano prima in condizioni subumane, e dallo spettacolo teatrale ‘Oltre l’oscurità: l’arte è salute mentale'”.

Gli incontri hanno anche esplorato quello che significano oggi due parole: cura e riabilitazione, centrali nel pensiero di Basaglia.
Due parole chiave della legge 180 del 13 maggio 1978, che decretò la chiusura dei manicomi e sancì la riforma della psichiatria, perché diventasse pratica liberatoria, terapeutica e riabilitativa, superando il proprio carattere di disciplina scientifica punitiva delle classi sociali più povere. Legge applicata solo dalla metà degli anni Novanta, e una riforma ancora oggi incompiuta sotto molti aspetti, purtroppo passibile di regressione, avverte Giovanna Del Giudice, collaboratrice di Basaglia a Trieste.

Ritorna insomma la “vecchia” psichiatria che rinchiude il malato, che utilizza non di rado l’ospedalizzazione e la contenzione meccanica e farmacologica, e che è delegata dal potere giudiziario al controllo sociale. In questo contesto – che soffre dei mali attuali della sanità pubblica, in primo luogo scarsità di risorse e di capitale umano e professionale – a Ferrara ci si è misurati con esperienze e idee in qualche modo attuatrici dell’insegnamento basagliano.

I servizi psichiatrici oggi

Nei servizi ferraresi lavorano 466 operatori dei vari profili professionali. La platea dei pazienti comprende più di 12 mila persone: si va dal colloquio e dalla consulenza per i medici di medicina generale al trattamento dei casi più gravi. Franca Emanuelli, responsabile del Dipartimento Salute mentale dell’Ausl di Ferrara, afferma che 26 servizi territoriali debbono affrontare tutte le forme patologiche del disagio mentale. Però non tutto funziona perfettamente: scarseggia il personale, soprattutto medici psichiatri, e la risposta dei servizi territoriali alle richieste d’aiuto e alla presa in carico delle persone sofferenti non sempre è tempestiva ed efficace.

La professione richiede un continuo aggiornamento degli operatori. La riabilitazione nel “sistema” ferrarese avviene il più possibile sia in comunità, sia in forma individuale, con programmi terapeutici che puntano a reinserire il paziente nella società, rendendolo protagonista di un recupero delle proprie capacità relazionali e cognitive perdute. In questo percorso i famigliari hanno un peso importante.

Disagio giovanile

Il disagio colpisce anche i giovani: Mariantonietta Falduto, dell’Unione degli studenti universitari, che studia a Ferrara, dice che ansia, solitudine, demotivazione sono diffuse nella popolazione universitaria, come risulta anche dall’indagine “Chiedimi come sto” promossa da Spi – Cgil insieme alla Rete degli studenti medi e all’Unione degli universitari sulle condizioni di 30 mila studenti durante e dopo la pandemia del Covid. Una proposta di legge – ancora inevasa – chiede che si potenzino i servizi di supporto e sostegno psicologico negli atenei e negli istituti superiori.
Le esigenze di cura e riabilitazione nel settore della psichiatria mostrano una volta di più che bisogna difendere la sanità pubblica e universalistica contro la sua privatizzazione per far fronte, con servizi efficienti soprattutto sul territorio, a bisogni che crescono e cambiano. Una battaglia – sostiene Marinella Melandri, della segreteria regionale della Cgil dell’Emilia-Romagna – che la Cgil ha fatto propria e che si tradurrà nella raccolta di firme per una specifica proposta di legge popolare.